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I disturbi cognitivi sono sintomi associati a diversi quadri patologici e affliggono molte persone in Italia e nel mondo.
Questi disturbi possono versificarsi in seguito a patologie sia di origine acquisita come gli ictus e i traumi cranici, sia di origine degenerativa come nella demenza di Alzheimer.
Pur essendo cosi comuni, spesso la loro portata viene sottostimata o presa in carico troppo tardi, comportando gravi danni a livello clinico e sociale.
Per disturbi cognitivi intendiamo tutte le alterazioni che possono presentarsi a carico della memoria, del linguaggio, dell’attenzione, della presa di decisione, della capacità di ragionamento e così via.
Siamo in grado di memorizzare un numero di telefono, di parlare con qualcuno, di prestare attenzione a un film, perché le aree cerebrali deputate al funzionamento di questi compiti sono integre.
Se vengono lese…iniziano i problemi.
Immaginiamo una ragazza di 20 anni, che dopo un incidente stradale, ha avuto un trauma cranico. Pur essendo apparentemente autonoma e in grado di svolgere qualsiasi attività, rischia di essere licenziata perché per svolgere un lavoro che richiede 10 minuti, lei ci mette un’ora.
Oppure immaginiamo un uomo sulla sessantina che comincia a evitare gli incontri sociali, rifiuta incarichi lavorativi, comincia a perdersi mentre guida…
O ancora, una donna che in seguito ad un ictus non è più in grado di pagare le bollette o fare la spesa.
In questi, o in casi simili, come facciamo a quantificare il danno cognitivo? Come facciamo a capire che tipo di trattamento è indicato? Come facciamo a sapere se i trattamenti messi in atto sono stati efficaci?
La valutazione neuropsicologica è lo strumento clinico che ci permette di capire se c’è e quanto è
grave il deficit cognitivo e ci da le informazioni adatte ad imbastire un trattamento adeguato
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